Economia di Redazione , 27/07/2024 7:56

Intelligenza artificiale: più del 50% delle PMI venete investirà nei prossimi 3 anni

intelligenza artificiale

Le piccole e medie imprese sono sempre più interessate a sfruttare le potenzialità dell’IA, sebbene non sempre conoscano bene i perimetri e le ricadute applicative e sociali dei nuovi sistemi. È, nella sintesi di Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, l’orientamento delle Pmi del territorio verso l’Intelligenza Artificiale. Il quadro emerge da un’indagine promossa dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro in collaborazione con Confapi su un campione di circa 500 imprese appartenenti principalmente al settore manifatturiero e rappresentative di tutta Italia - a cui hanno partecipato una cinquantina di aziende padovane. Fabbrica Padova l’ha incrociata con i dati contenuti nell’ultimo rapporto “Digitalizzazione e Pmi”, elaborato dal Dipartimento di Scienze economiche e aziendali “Marco Fanno” dell’Università di Padova, per conto di Unioncamere del Veneto e Regione del Veneto, raccogliendo le testimonianze di altre 1.880 imprese del territorio.

I DATI

Ne risulta che, a livello nazionale, circa l’11% delle imprese coinvolte ha già sviluppato sistemi di IA, mentre, restringendo il campo all’ambito padovano e veneto, la percentuale sale al 15,85%, denotando una particolare sensibilità sul tema. Un dato che, tuttavia, rimane ancora lontano rispetto a quelli relativi, ad esempio, alle tecnologie per la messa in sicurezza dei dati (cybersecurity), già presente nel 69,52% delle aziende, alla condivisione (cloud), utilizzata dal 69,14%, o alla progettazione digitale 3D, utile per i processi di personalizzazione e di prototipazione (31,91%). Le aziende sono aperte alle nuove tecnologie, ma, a oggi, restano ancora staccate quelle più innovative e impegnative dal punto di vista delle competenze, come appunto è per l’uso dell’intelligenza artificiale.

L’interesse, tuttavia, è in crescita. Non a caso, come testimonia l’indagine promossa sul territorio da Confapi Padova, quasi un terzo (29,7%) delle aziende è attualmente impegnato in iniziative di diverso tipo, che vanno dalla realizzazione di progetti pilota (9,1%) alla partecipazione ad attività formative e informative in materia (13,9%). Ma, per i prossimi tre anni (2024-2027), più della metà delle Pmi (52%) manifesta l’intenzione di investire in tecnologie IA: il 27,6% lo farà sicuramente, il 24,4% è incerto, ma vorrebbe. Il 37,4% del campione non ha ancora deciso, mentre il 10,5% non lo farà. La scelta di investire nasce principalmente dalla convinzione di poter aumentare produttività ed efficienza organizzativa (42,3%) e, in parte, di favorire il generale processo di innovazione aziendale e l’adattamento migliore alle esigenze di mercato (33,1%). Solo il 12,6% valuta centrale la possibilità di garantire con le tecnologie IA una maggiore personalizzazione di interventi e strategie (verso i clienti, i lavoratori, etc) e il 12% un miglioramento del processo decisionale tramite i nuovi strumenti.

Cosa ostacola, allora, una maggiore diffusione dell’IA tra le imprese? In primis la scarsa conoscenza dei nuovi sistemi. Il 48,6% del campione ritiene, infatti, che sia questo il principale freno. Riguardo alla tipologia di applicazioni presenti nelle Pmi emerge invece un approccio graduale: tra le più diffuse, quelle che consentono una più rapida ed efficace analisi dei dati (il 29,7% le ha introdotte o le sta introducendo) e, a seguire, i sistemi per l’automazione dei processi (17,4%) o di assistenza alla clientela tramite chatbot o applicazioni simili (15,5%).

Importanti per le imprese le ricadute che l’introduzione dei sistemi di IA può avere sulla platea dei lavoratori, sia in termini di rischi che di opportunità. Tra queste ultime spicca l’effettivo supporto che le nuove tecnologie possono offrire ai loro collaboratori in termine di riduzione dei carichi lavorativi (42,9%). A seguire, il 39,1% valuta le opportunità derivanti dalla sostituzione di attività ripetitive e di routine e circa un terzo intravede un complessivo miglioramento della qualità del lavoro (32,6%). Lo spiazzamento dei lavoratori più anziani e, in generale, meno digitalizzati è giudicato come il rischio principale (42,6%). In ogni caso, l’investimento nei nuovi sistemi IA non rappresenterà per le imprese intervistate un rischio per l’occupazione, anzi è vero il contrario: il 45,5% prevede, infatti, che ci sarà un incremento dei livelli occupazionali (per il 48,3% il quadro rimarrà invariato, e solo il 6,3% teme una diminuzione). L’impatto sull’organizzazione e sulle competenze dei lavoratori sarà, tuttavia, rilevante. Il 35,7% ritiene la formazione in ambito digitale tra le azioni necessarie per favorire lo sviluppo dei sistemi di IA. A seguire, il 18,2% reputa che saranno determinanti gli interventi di reskilling e/o ricollocazione dei lavoratori o l’avvio di consulenze specialistiche con esperti per pianificare e gestire le innovazioni previste. Nella strategia che le Pmi metteranno in campo nei prossimi anni la dimensione delle competenze sarà, dunque, cruciale.

L’ANALISI

«Dal nostro osservatorio, mi sento di dire che il territorio veneto ha una sensibilità marcata verso questi strumenti, e sta comprendendo qual è il loro potenziale impatto sulla qualità del lavoro», commenta Giovanni Manta, imprenditore padovano a capo di Geolander.it, vicepresidente di Confapi Padova Unimatica e componente del Consiglio nazionale di Unimatica, l’Unione italiana delle piccole e medie imprese per il trattamento dell’informazione. «Uno dei maggiori timori è legato all’impatto sulle risorse umane, ma a riguardo anche il presidente Camisa ha confermato, durante l’assemblea nazionale, che la Confederazione sta predisponendo specifici protocolli mirati a garantire la sicurezza dei lavoratori. Quelli legati ai posti di lavoro sono timori comprensibili, ma che non hanno ragione d’essere. Anzi, l’adozione di questi strumenti creerà nuove opportunità di occupazione. Pensiamo solo a come nell’ambito digitale ci sarà bisogno di figure professionali oggi sottoccupate, come filosofi e sociologi, che dovranno accompagnare l’utilizzo dell’IA. E molte figure si convertiranno, con una crescita professionale che si realizza attraverso la formazione, quello che rimane, in assoluto, lo strumento che può accompagnare maggiormente lo sviluppo dell’IA nelle imprese e limitare, al tempo stesso, i rischi che potrebbero derivarne. Non per niente Confapi Padova, attraverso i corsi di S.Pa.D.A., la sua scuola di alta formazione, è stata pioniera in tal senso, precorrendo i tempi».

«Se mi consentite la battuta: la paura del progresso mi fa paura», prosegue Manta nella sua analisi. «L’atteggiamento di temere le evoluzioni mal si addice a chi fa impresa. Cassarle significa, nella maggior parte dei casi, scontrarsi con una realtà che, in tempi molto rapidi, rischia di portare la propria azienda a perdere di competitività nei confronti di quelle straniere, che già da anni stanno lavorando in tal senso. Come Confapi riteniamo invece che l’Intelligenza Artificiale possa rappresentare un’enorme opportunità per tutto il nostro sistema produttivo industriale. Spesso si pensa che i benefici siano legati esclusivamente alle grandi aziende, ma non è così: pensiamo solo, semplicemente, a come le Pmi possano normalizzare e velocizzare anche i più comuni processi produttivi e amministrativi. Le aziende manifatturiere, che costituiscono la larga maggioranza delle nostre imprese, devono capire quali sono gli strumenti di cui hanno bisogno e che tipo di utilizzo farne. Il percorso verso l’uso dell’Intelligenza Artificiale in azienda richiede un impegno improcrastinabile da parte delle imprese, non solo in termini di investimento economico e organizzativo, ma soprattutto di adeguamento e innovazione delle competenze. Ma la strada è segnata».