Erasmus a Gaza con i bambini sotto le bombe: la storia di Riccardo Corradini, medico di Verona
Riccardo Corradini è il primo studente occidentale ad aver fatto l’Erasmus nella Striscia di Gaza. E la sua storia, intensa e lacerante, è ora raccontata nel documentario realizzato dalla giornalista Chiara Avesani e dal regista Matteo Delbò, che hanno vissuto insieme a lui 4 mesi in quella che anche lo storico israeliano Ilan Pappe chiama “la più grande prigione a cielo aperto del mondo”. Il docu-reportage, che ha già ricevuto molti premi tra Montecarlo e Barcellona, a dicembre sarà proiettato a Roma (il 19 al Cinema Farnese) e a Tel Aviv, in occasione del Festival per i Diritti Umani.
“Nel 2019 – racconta Riccardo che ora lavora come medico all’ospedale di Verona – grazie al progetto Erasmus Plus, all’Università di Siena e all’Acs, l’Associazione di Cooperazione e Solidarietà, ho studiato 4 mesi all’Islamic University of Gaza. E i motivi che mi hanno spinto a farlo sono sostanzialmente due: uno legato alla formazione e l’altro ad aspetti umani”. Il suo sogno, spiega, è poter diventare chirurgo d’urgenza e Gaza “purtroppo dà l’opportunità di confrontarsi quotidianamente con numerose urgenze chirurgiche”.
Il secondo, è che “ci sono tanti modi per affrontare e provare a risolvere conflitti, guerre, ingiustizie, oppressioni e la mediazione culturale, di cui il progetto Erasmus fa parte, è uno di questi”.
“Ho pensato – dice Riccardo che quando partì aveva 25 anni – che, andando a fare un periodo di studi là, forse sarei riuscito a mettere un tassello, anche minimo, al progetto di mediazione culturale, con lo scopo di mettere la conoscenza reciproca e il sapere critico al centro, come strumento di risoluzione delle controversie”.
La sua esperienza, a tratti drammatica, come quando si è trovato sotto i bombardamenti o a medicare bambini con corpi mutilati per colpa dei proiettili che esplodono in mille frammenti a contatto con i tessuti e con le ossa, gli ha consentito però di fare anche grandi amicizie. Aspetti centrali del documentario sono infatti l’incontro e l’accoglienza. La curiosità e la voglia di conoscersi e il disperato bisogno di normalità in una terra devastata dalla guerra.
Riccardo, originario di Rovereto, viene accolto dai palestinesi con generosità e attenzione, “proprio come quando si ricevevano i viaggiatori all’inizio del ‘900 perché se ne vedevano pochi”, e l’amicizia che si cimenta tra lui e gli altri studenti è come un filo rosso destinato a legarli per sempre. Il merito di questo docu-reportage è proprio quello di essere riuscito a dare volti, nomi, storie e identità alla tragedia di un intero popolo.
Un popolo che soffre, che vive sotto le bombe, spesso senz’acqua e senza luce, ma che ora vediamo nel simpatico Sadì, nei docenti bravi e competenti, negli occhi di Jumana o negli altri ragazzi con i quali Riccardo studia, prepara esami e lavora al pronto soccorso. Con il suo Erasmus, lui ha di fatto costruito un ponte che ora altri studenti potranno attraversare.
“La consiglieresti come esperienza? Senz’altro, – risponde – perché comunque è stata positiva sotto mille aspetti e la resilienza di questo popolo mi ha arricchito”.
“E un giorno – assicura – mi piacerebbe tornare come medico o come turista. Con le sue luci e le sue ombre, con i suoi santi e i suoi demoni Gaza è senz’altro una terra che merita di vivere e di essere vissuta”.