Covid, farmaco biologico Anakinra riduce drasticamente il ricovero. Lo studio a Negrar
Possibile svolta nella terapia del Covid 19 grave: il farmaco biologico Anakinra riduce drasticamente il ricovero in terapia intensiva e i decessi per insufficienza respiratoria grave. Sono i dati emersi da uno studio internazionale a cui ha partecipato anche l’IRCCS di Negrar.
Questo farmaco, finora usato soprattutto per la cura dell’artrite reumatoide, si è dimostrato capace ridurre drasticamente il ricovero in terapia intensiva e i decessi. I risultati del trial “SAVE MORE” – di Fase III, randomizzato e in doppio cieco – sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Medicine e l’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) ha iniziato il procedimento di valutazione per estendere le indicazioni dell’anakinra al COVID-19.
Lo studio è stato condotto su 594 pazienti ricoverati per polmonite e vede come principale investigatore Evangelos J. Giamarellos-Bourboulis, professore dell’Università Nazionale Capodistriana di Atene, che ha coordinato 37 ospedali, tra cui 8 italiani a loro volta coordinati dall’Istituto Spallanzani di Roma. Il “Sacro Cuore Don Calabria” è tra i centri in Italia che ha arruolato il maggior numero di pazienti (15). “Lo studio ha dimostrato che la somministrazione precoce dell’Anakinra riduce del 55% la mortalità e del 64% il rischio di morte o la necessità di ricovero in terapia intensiva per la progressione della polmonite in insufficienza respiratoria grave valutati al 28mo giorno”, afferma il dottor Andrea Angheben, responsabile del reparto del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar e responsabile locale del trial. “Mi sento di dire che sono risultati particolarmente esaltanti: pur essendo all’oscuro su chi riceveva il farmaco rispetto al placebo ho potuto constatare di persona che alcuni pazienti clinicamente destinati alla terapia intensiva mostravano un rapido ed inaspettato miglioramento a poche ore dalla somministrazione del farmaco sperimentale”.
La chiave di volta sta tutta nelle caratteristiche dell’Anakinra, associate all’individuazione della “finestra di somministrazione”. “Sappiamo che i danni maggiori causati dal COVID-19 sono dovuti all’infiammazione (la “famosa tempesta citochinica”) che paradossalmente il nostro sistema immunitario provoca reagendo in maniera incontrollata al virus – spiega ancora Angheben – L’infiammazione è un processo mediato dalle interleuchine. Infatti fin dall’esordio del COVID-19 sono nate molte ricerche su farmaci inibitori dell’infiammazione, come il tocilizumab attualmente indicato nel trattamento di COVID-19. L’Anakinra va ad agire su un’interleuchina molto importante, la 1-alfa e 1-beta, bloccandola e quindi arrestando la cascata infiammatoria; con una potenza tuttavia che lo differenzia da altri farmaci simili: agisce velocemente e la durata di azione è legata al suo utilizzo con conseguente minimo impatto sulla competenza immunitaria del paziente.”.
Una caratteristica fondamentale, quest’ultima, “perché la riduzione dell’infiammazione comporta anche la riduzione della risposta immunitaria e quindi espone il soggetto già colpito da polmonite o intubato a sovrainfezioni. Cosa che invece può accadere con altri farmaci simili, come il tocilizumab. Lo studio infatti non ha rilevato un numero maggiore di infezioni in coloro che hanno assunto il farmaco, rispetto ai pazienti nel braccio di controllo con placebo. Ci troviamo pertanto di fronte ad un farmaco oltre che efficace, anche sicuro”.
Ma questo farmaco non avrebbe la stessa efficacia se non venisse somministrato al ‘tempo giusto’. “La clinica ci ha insegnato fin dall’inizio che l’infiammazione può essere contrastata solo somministrando tempestivamente i farmaci di cui disponevamo, in primis il cortisone. Grazie a questo studio ora sappiamo quantificare l’avverbio “tempestivamente”. In un precedente trial (SAVE), il professor Giamarellos-Bourboulis aveva dimostrato che il COVID-19 si comporta per certi versi come la sepsi nella fase avanzata, patologia di cui si occupa da tempo; in altre parole i pazienti destinati a progressione di malattia – quindi all’insufficienza respiratoria – sono coloro che nel sangue hanno un alto valore del suPAR, un biomarcatore del plasma che funge da strumento prognostico per l’attivazione immunitaria in fase precoce. Nel trial che ci ha coinvolto si è fatto tesoro di questo dato e sono stati screenati, tra Grecia e Italia, circa mille pazienti, arruolando però solo quelli destinati a peggiorare cioè quelli che presentavano il biomarcatore nel sangue con valori superiori a 6”.
Lo studio SAVE MORE è stato condotto in doppio cieco, cioè gli sperimentatori non sapevano quali fossero i pazienti che hanno assunto il farmaco (circa 400) e quali il placebo. Ad entrambi i bracci è stato somministrato lo standard terapeutico tradizionale: cortisone, eparina e supporto respiratorio. Questo studio offre anche ulteriori informazioni utili per combattere il COVID-19; il professor Giamarellos-Bourboulis sta ora studiando i sottogruppi, cioè sta valutando l’efficacia e la sicurezza del farmaco per esempio nei pazienti obesi o nelle donne piuttosto che negli uomini.