Nuove prospettive di ricerca sulla demenza, UniVr è l'unico ateneo italiano coinvolto

La ricerca sulla demenza sta vivendo una fase di profondo rinnovamento. Se per decenni l'attenzione si è concentrata quasi esclusivamente sui farmaci sintomatici, oggi prende forma una visione più ampia che integra aspetti clinici, biologici, comportamentali e sociali. In questo contesto si inserisce la nuova sinergia internazionale del Demon - Deep dementia phenotyping - Social determinant of dementia (Sdod) international research group, consorzio di ricercatori impegnati a comprendere il ruolo dei determinanti sociali nello sviluppo della demenza. L'obiettivo è ambizioso: contribuire a un cambio di paradigma nella prevenzione e nella gestione di queste patologie, guardando non solo al cervello ma anche all'ambiente, alle condizioni di vita e alle disuguaglianze che possono influenzare la salute cognitiva. All'interno del consorzio, l'Università di Verona rappresenta l'unico ateneo italiano coinvolto, grazie alla partecipazione di Stefano Tamburin ed Elisa Mantovani della sezione di Neurologia B diretta da Michele Tinazzi del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento diretto da Corrado Barbui. In Italia, secondo la Società italiana di neurologia, circa 600.000 persone sono affette da questa patologia. A livello globale, l'Oms stima oltre 55 milioni di casi di demenza. La ricerca evidenzia come fattori quali l'istruzione, la condizione socioeconomica e l'inquinamento atmosferico siano già ben documentati, mentre altri, come la qualità dell'abitare o la detenzione, risultano ancora poco esplorati.
Secondo i ricercatori, la maggior parte dei dati disponibili proviene da Paesi ad alto reddito, lasciando scoperti contesti più fragili dove la demenza è in crescita. Sul fronte terapeutico, le nuove speranze sono legate a farmaci biologici approvati di recente come lecanemab e donanemab. "Tuttavia - commentano Tamburin e Mantovani - la loro efficacia è limitata, i rischi non trascurabili e la gestione clinica complessa. Questi trattamenti saranno difficilmente accessibili in molti contesti, e si rendono quindi necessari percorsi alternativi". La prevenzione assume così un ruolo centrale. Studi clinici hanno dimostrato che agire su fattori di rischio modificabili - come fumo, diabete, isolamento sociale - può ridurre significativamente il rischio di decadimento cognitivo. A questi si aggiungono i determinanti sociali, che il consorzio Demon Sdod considera cause "a monte" della malattia, spesso non modificabili individualmente ma solo attraverso politiche collettive.