Giustizia riparativa, a Verona seguiti oltre 60 minori autori di reato

Ragazzi autori di reato, esiste un percorso che aiuta a ricostruirsi allontanandosi dalla devianza. La giustizia può anche riparare non solo punire. Si chiude a Verona, il 17 aprile presso il Palazzo della Gran Guardia , il progetto “Tra Zenit e Nadir: rotte educative in mare aperto” con un convegno in cui saranno presentati i risultati ottenuti ed una riflessione sulla condizione giovanile. L’iniziativa ha permesso di sperimentare l’approccio del paradigma riparativo per prevenire la criminalità minorile, responsabilizzare i minorenni autori di reato, attivare le comunità locali per recuperare e far ripartire i ragazzi coinvolti nel circuito penale.
Se si vogliono ridurre i reati e gli atti devianti commessi dai minorenni è necessario che l’intera comunità si attivi con azioni preventive e precoci.È questo il messaggio che i promotori di “Tra Zenit e Nadir: rotte educative in mare aperto”, progetto selezionato da Impresa Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, che ha visto il Comune di Verona in qualità di Ente partner, hanno voluto sviluppare nelle diverse attività realizzate.
L’iniziativa è frutto della consolidata collaborazione nel campo della giustizia riparativa tra la Fondazione Don Calabria per il Sociale, capofila del progetto, e il Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti (CNCA) e ha coinvolto come partner altri 57 soggetti pubblici e del terzo settore attivi in otto province italiane (Milano, Brescia, Cremona, Verona, Vicenza, Venezia, Treviso, Trento).
“Il convegno nazionale di giovedì prossimo sarà l’occasione per restituire i risultati raggiunti di un progetto caratterizzato da interventi ad personam, ovvero realizzati in base alla storia e alle diverse necessità di ogni ragazzo – ha spiegato l’assessora alle Politiche sociali e Terzo settore Luisa Ceni-. Ricordiamoci che stiamo parlando di ragazzi che vivono situazioni di povertà educativa e di fragilità, questo progetto li rimette al centro delle loro vite, curando le fratture procurate dei reati che hanno commesso”.
“Un progetto innovativo che trova la sua forza nella capacità degli enti coinvolti di unire le forze per accompagnare i ragazzi nel loro percorso di cambiamento- ha aggiunto Marilena Sinigaglia del Centro per la Giustizia Minorile di Venezia-. Emerge la necessità di una presa in carico precoce dei minori al momento del loro ingresso nel circuito penale, una presa in carico integrata con i servizi sociali territoriali e specialistici, valorizzando il ruolo proattivo del terzo settore per promuovere interventi flessibili e tempestivi”.
“Sono state coinvolte otto province distribuite tra le regioni Veneto, Lombardia e Trentino, a Verona presi in carico 64 ragazzi veronesi , realizzando 350 attività di vario tipo, dal tempo libero al recupero scolastico e lavorativo – ha spiegato il responsabile Fondazione don Calabria per il Sociale ETS di Verona Silvio Masin-. Tante le associazioni che hanno partecipato, un progetto quindi rilevante anche per l’ impatto sociale sul territorio”.
Alcuni dati generali: beneficiari del progetto sono stati, prima di tutto, 536 ragazzi provenienti dal circuito penale (oltre il 98%), che hanno commesso un reato. L’80% di essi è nato in Italia (ma solo il 70% ha la cittadinanza italiana), mentre il restante 20% proviene da altri Paesi. L’87% di questi ragazzi sono stati bocciati almeno una volta e la metà almeno due volte. Più del 50% di loro non segue alcun percorso di istruzione, mentre circa il 20% frequenta un percorso triennale o quadriennale di formazione professionale. Il 43% presenta disturbi psichici, disturbi evolutivi specifici e/o bisogni educativi speciali e/o svantaggi culturali, sociali, linguistici e il 29% dipendenze patologiche, quasi sempre da sostanze. Più della metà di questi beneficiari (58%) al momento dell’ingresso nel progetto non era in carico ad alcun servizio specifico. Circa tre quarti di loro erano sottoposti a una misura penale al momento della presa in carico (per il 75% la messa alla prova).
Per questi ragazzi il progetto ha attivato diverse tipologie di attività: potenziamento delle competenze di base (supporto scolastico…), potenziamento delle life skills (attività sportive, attività artistico ricreative, produzione audiovisivi…), potenziamento delle competenze professionali (formazione professionale…), attività di tempo libero, coinvolgimento in attività di volontariato o di impegno sociale, supporto psicologico e sociale, orientamento scolastico e professionale, rafforzamento dei legami familiari e sociali, interventi di giustizia riparativa (incontro tra reo e vittima…). Tra Zenit e Nadir ha,però, attivato anche numerose iniziative di prevenzione rivolte ad adolescenti, in particolare nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado, per ragionare con loro sui temi della giustizia, della riparazione, dei reati. Nel complesso sono stati 4.096 (di cui il 73% italiani e il 27% stranieri) i ragazzi raggiunti dal progetto. 557 (di cui l’85% italiani e il 15% stranieri) sono invece i genitori che hanno usufruito delle attività del progetto e 1.055 gli insegnanti e gli operatori coinvolti. Sono stati attivati 120 laboratori: 77 per i minorenni, 17 per i genitori, 26 per docenti e operatori.
Per il territorio del Comune di Verona i dati riportano che il progetto ha preso in carico n.64 minori e giovani autori di reato. Si sono realizzate più di 350 attività, nell’ottica della “sartorialità” individuale del loro percorso riparativo e di riscatto sociale, coinvolgendo più di 40 associazioni o enti territoriali con l’obiettivo di costituire quella comunità educante che favorisca la prevenzione e la riparazione dei reati e degli atti devianti, ed in grado di responsabilizzare, sostenere ed includere nella comunità i ragazzi autori di reato invece di escluderli.
ll progetto “Tra Zenit e Nadir: rotte educative in mare aperto” si è posto l’obiettivo di promuovere e facilitare l’adozione del paradigma della giustizia riparativa come prassi metodologica per l’approccio ai minorenni coinvolti in procedimenti penali e alle loro famiglie. L’obiettivo principale del progetto è stato quello di ridurre nel tempo il rischio di recidiva tra i minorenni autori di reato che sono sotto l’attenzione degli USSM. Il modello di intervento si è basato sulla relazione tra l’autore del reato, la vittima e la comunità locale di appartenenza, considerando il reato come una rottura di questa relazione e interpretando l’azione riparativa come un’opportunità per ricostruire un senso di appartenenza reciproca.