Attualità di Redazione , 10/03/2022 15:41

Verona prima in Italia a somministrare l'Anticorpo Monoclonale via intramuscolare ai fragili

Evelina Tacconelli
Evelina Tacconelli

Nell'ambulatorio di Malattie Infettive dell’Ospedale Borgo Roma è stata trattata la prima paziente con infezione da SARS-CoV-2 sintomatica immunodepressa di 55 anni, con l'Anticorpo Monoclonale per via intramuscolo.

"L'obiettivo, nell’ambito della ricerca da parte dell'Azienda Ospedaliera è quello di individuare la migliore terapia ambulatoriale per i pazienti fragili con COVID-19. “Questo Anticorpo Monoclonale è una grande innovazione per il paziente” - afferma il Direttore Generale dott. Callisto Marco Bravi – “poiché la tempistica di somministrazione da un'ora si riduce a cinque minuti”.

La terapia è disponibile all'interno dello studio MANTICO-2, finanziato dall’Agenzia Italiana del Farmaco, AIFA e coordinato dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata - Verona (prof.ssa Evelina Tacconelli), in quattordici centri italiani.

Nello studio si compara l’efficacia di un Anticorpo Monoclonale per via endovenosa (Sotrovimab) sia con il nuovo Anticorpo Monoclonale Evusheld somministrato per via intramuscolare, sia con la terapia orale in compresse (Paxlovid), analizzando anche le varianti del virus responsabile dell’infezione.

"L'innovazione di questa terapia oltre che nella rapidità di somministrazione sta anche nella durata dell'effetto” - afferma la prof.ssa Evelina Tacconelli, Direttore dell’Unità Operativa Complessa Malattie Infettive - “gli anticorpi infatti permangono nel sangue per almeno sei mesi proteggendo il paziente da ulteriori infezioni".

Al di fuori degli studi clinici come MANTICO-2, Evusheld è al momento disponibile in Italia solo come profilassi pre-esposizione nei pazienti severamente immunocompromessi.

"Questa terapia” – prosegue la prof.ssa Tacconelli - “è utilizzabile sia nei pazienti vaccinati che non vaccinati ed è efficace sulle varianti attualmente circolanti".

"E’ davvero essenziale oggi poter diminuire l’ospedalizzazione dei pazienti severamente immunocompromessi” – conclude il Direttore Generale - “nei quali la vaccinazione potrebbe non essere sufficiente a ridurre il rischio.”